Diario epocale

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    Phil Hip Poh Tcheckootchee

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    Premessa
    E' da un po' che "sentivo il bisogno" di raccontare un po' la storia della mia partecipazione alle gare del Gruppo 5 per culminare con la "nascita" e la trasformazione della mia attuale "bestia da gara", vale a dire la paciosa Yamaha DT 400.

    Per molti di voi ci saranno parecchi momenti da brividi, per ingenuità o per errori o per pensieri non condivisi, o anche per il racconto di alcuni aspetti che si conoscono già bene, va be', io ho cercato di essere schietto nel raccontare, augurandomi magari di divertire nella lettura, fornendo al contempo anche qualche informazione che potrebbe essere utile ad alcuni.

    Essendo un "diario", la mia intenzione è di proseguirlo e portarlo avanti, per lo meno finché avrò qualcosa da dire, una sorta di blog insomma.
    Mi auguro vi possa far passare qualche minuto spensierato, l'obiettivo è quello.

    Capitolo 1:
    gtdf201095bn
    Il mondo delle moto d’epoca, del Gruppo 5, non può proprio lasciare indifferente chi, come il sottoscritto, fin da ragazzino ha sognato un certo genere di moto.
    Le moto che attirano più l’attenzione dipendono un po’ dalla generazione: se per i nati negli anni ’40 e ’50 una Morini Corsaro Regolarità (e magari pure con telaio Ronzani...), una Gilera 124 o una Guzzi Stornello Regolarità non possono lasciare indifferenti, per coloro che sono nati negli anni ’60 una grande percentuale dei sogni è legata al nome Sachs (che si pronuncia “sàk-s” e non “sasc” o altre bizzarie simili), che con i suoi motori 50 e 125 ha fatto muovere una percentuale enorme delle moto costruite negli anni ’70 per andare fuoristrada. Oltre al Sachs, beninteso, anche i nomi Minarelli, Franco Morini, Hiro o Rotax sono importanti e basilari, così come, ovviamente, KTM, che a partire dal 1976 decise di farsi tutto in casa. Sachs è però il motore dominante, senza troppi dubbi al riguardo.
    hercules2971
    Se le moto più affascinanti sono probabilmente quelle delle classi A (fino al 1973, suddivise per cilindrata), B (sempre fino al 1973, ma a 4 tempi) e C (fino al 1976, esclusi i motori Rotax e Hiro, sempre divise per cilindrata), quelle della classi moderne (dette anche “plasticoni”) sono le più facili da guidare e da trovare, ideali insomma per debuttare.
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    Si tratta delle classi D (fino al 1981, sempre divise per cilindrata) ed X, una classe di formazione recente che vede al via le moto fino al 1983 anche con raffreddamento ad acqua, freni a disco e monoammortizzatore.
    Queste moto più recenti hanno indubbiamente prestazioni di ben altro livello, e pure essendo un po’ sul limite del concetto di “moto d’epoca”, sono particolarmente piacevoli da guidare, oltre che “facili”. Infatti le varie sottoclassi della D sono sempre molto combattute ed affollate.
    Per il mio debutto agonistico sono voluto andare sul sicuro, con una moto X2 (fino al 1983, oltre 125 cc), vale a dire la mia splendida Kram It 250 del 1982, una moto con motore Rotax (sinonimo di affidabilità) e con sospensioni notevoli: Forcella Italia all’avantreno (una meraviglia) e monoammortizzatore al retrotreno, comandato da un leveraggio che molto singolarmente ricorda quello recentemente adottato da Husqvarna per le sue creazioni più recenti.
    ventura549
    Con questa moto mi sono davvero divertito da matti: facile, guidabilissima, e straordinaria in mulattiera, il suo vero limite è stato il pilota.
    Partecipando nella classe X2, ero un po’ “tagliato fuori” dal cuore delle gare: parti tra gli ultimi e gli altri ti guardano un po’ come un astronauta con un mezzo un po’ troppo moderno, ma tant’è, come prima esperienza è stata formidabile e divertentissima, grazie anche all’accoglienza che mi ha riservato il glorioso M.C. Careter, con i componenti del quale ogni trasferta è stata una piacevolissima esperienza di amicizia e goduriose mangiate.
    careter2961

    Capitolo 2:
    Il mio primo anno di partecipazione alle gare del Gruppo 5 è stato con la Kram It 250 1982 nella classe X2, riservata alle moto più moderne. In un paio di gare, per “cause di forza maggiore” (un “tagliando” un po’ prolungato) ho partecipato con un’altra mia moto, una Kramer 250 1981, moto che normalmente sarebbe all’interno della classe D4 (fino al 1981 e fino a 250 cc). Tra Kramer e Kram It c’è un solo anno di distanza ed il motore è lo stesso (Rotax 250), ma la differenza è davvero enorme!
    Se la Kramer si può considerare come “la più moderna delle moto d’epoca”, grazie ad un magnifico telaio caratterizzato dalla sospensione posteriore a cantilever e due ammortizzatori affiancati sotto alla sella, la sua guida è comunque ancora splendidamente “antica”.
    763img1692
    Viceversa la Kram It, che è più alta di buoni 4 centimetri, ha una guida molto più moderna, e si potrebbe definirla “la prima delle enduro moderne”, sottolineando una volta di più come la celebre Sei Giorni dell’Isola d’Elba 1981 (vinta da Gritti con una Kramer 250 e che vide il debutto di Andrioletti con una Kramer modificata che di fatto è stata la prima Kram It) abbia segnato irrimediabilmente la cesura tra “regolarità” ed “enduro”.
    kramitgorizia
    Ad ogni modo, se la Kramer in un fettucciato ha una guidabilità straordinaria (con un pilota vero credo sia quasi imbattibile), la Kram It dà il suo meglio in mulattiera dove, sempre con un pilota “vero”, credo abbia ben poche rivali.
    Quello che ho imparato da questo primo anno di esperienza agonistica (oltre ad essermi divertito come un matto...), è stato che il Rotax 250 va guidato a modo suo, vale a dire “dandogli marcia” e sfruttandone la coppia ai bassi regimi. La differenza maggiore con i motori moderni è soprattutto nel modo in cui questi motori prendono i giri: le masse volaniche sono ben diverse, e quindi è improduttivo “tirargli il collo”, meglio, molto meglio, è “lasciarli scorrere”, cercando di rallentare il meno possibile e di farsi spingere dal motore, anche quando non ti sembra di andare avanti.
    Sembra facile, ma io ci ho impiegato un anno a capirlo ed a cercare di metterlo in pratica.
    Va be’, del resto il primo anno serviva a fare esperienza, no?
    cimg3044
    Fra una cosa e l’altra ad ogni modo, grazie soprattutto alla costanza di partecipazione e piazzamenti, alla fine sono risultato il primo della X2, anche se il confronto con i piloti della X1 (fino a 125) è stato impetoso: Migliorini e Gelassi mi hanno sempre e costantemente dato una “paga” enorme alla guida delle loro KTM LC1 e Cagiva 125.

    Ciao,
    Filippo
     
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    Bella discussione, e poi semplicemente a me piace leggerti.

    Non mi perderò nulla.

    Simone
     
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    Sei un grande. CERVELLO E PENNA FINI. GRAZIE FILIPPO
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    chi corre e pensa contemporaneamente è una persona eccezionale. magari non vince il mondiale (o l'italiano) ma condivide sensazioni. si chiama scrittura! bravò
     
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    Dovresti girare il gas come mandi la penna, fermone.

    Salutoni e buona pasqua, da un tuo ex pilota, Fabio.
     
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    RUST in the WIND

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    :clap.gif: Me gusta el diarjo!!! :applausi:
     
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    Sono a bocca aperta....continua! :o: GRAZIE!
     
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    Phil Hip Poh Tcheckootchee

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    Be', grazie... :wub:
    Non so che dire: son quasi commosso da una simile accoglienza! -_-
    Speriamo di meritarcela... :unsure:

    Capitolo 3:
    “E pluribus unum” (uno tra i tanti): ero un ragazzetto alle prime lezioni di Latino al Ginnasio, quando questa frase mi rimase impressa.
    Andando avanti, attorno al 1986, quando presi il mio primo computer, una pubblicità della ditta costruttrice mi colpì ed affascinò: c’era una celebre foto del Mahatma Gandhi accovacciato mentre leggeva, e sopra una scritta, in piccolo: “think different” (pensa diversamente), in basso, il logo dell’azienda di computer. Sarà stato che Gandhi da sempre è il mio solo ed unico idolo, sarà che quel computer era facilissimo da usare (ed aveva “ben” 2 Mb di hard disc più addirittura altri 2 Mb con l’hard disc esterno!) e bastava attaccare la spina per accenderlo, sarà quel che sarà, ma da allora ho sempre avuto computer di quella marca.
    Insomma, sono fatto molto a modo mio, ne pago tutt’ora le conseguenze, ma di certo è molto raro che faccia scelte consuete.
    Quando si è quindi trattato di pensare con che moto partecipare al Gruppo 5 regolarità 2012, ho cominciato a esaminare quali mezzi potevano accedere alle classi che più mi interessavano, vale a dire di grossa cilindrata (250 od oltre) e fino al 1973 (classe A) o almeno al 1976 (classe C), purché non spinte dai motori Rotax od Hiro.
    Che moto c’erano al tempo, escludendo le fantastiche Jawa ed MZ dei campioni dell’Europa Orientale?
    jawa2945
    Le KTM, naturalmente, però, daì, sono le solite...
    Husqvarna e Maico, splendide, però trovarne ad un prezzo “umano” è un’utopia.
    Le spagnole, allora: Bultaco, Montesa ed Ossa, però poi come la mettiamo con i ricambi, oltre alla difficoltà anche qui di trovarne una non massacrata e ad un prezzo accessibile?
    cimg3095
    Strana la vita, non c’è che dire: un pomeriggio mia nipote, curiosando tra i miei vecchi diari di scuola, inizia a guardare le tante foto che ci attaccavo, con i grandi campioni che imperversavano nei miei sogni giovanili.
    “E questo chi è?”. Quando le dico il nome, specificando che era uno dei più grandi, un campione formidabile, capace di vincere quattro campionati del mondo di motocross, tutto quel che fa è ridere per “l’assudità di tutte quelle K tra nome e cognome”. Beata ingenuità.
    Be’, l’avrete capito, era Heikki Mikkola, naturalmente, un mito assoluto della mia giovinezza.
    Lackey
    Però si accende una lampadina nella mia mente: “Una Yamaha! Perché no?”
    Ah, certo, a chiacchiere che ci vuole, ma una Yamaha da fuoristrada targata, e costruita entro il 1976 dove diavolo la trovo?
    Il caso, o meglio, il destino, prosegue a guidarmi: un amico posta su Rugginose un filmato (Clikka!) di un pazzesco inseguimento tra moto da un film “poliziottesco” anni ’70 (“Uomini si nasce, poliziotti si muore”), tra assurdità e crudeltà efferate, il poliziotto (credo che il “cascatore” che lo impersonava fosse il padre di Simone Corsi, il pilota del Motomondiale) guidava una Suzuki 400 2 tempi che più “anni ‘70” non si può!
    Mi sembrava di ricordare che anche la Yamaha facesse una moto simile, ed infatti, dopo una breve ricerca su internet, ecco comparire la DT 400.
    Sempre facendomi guidare dal destino, e senza starci troppo a riflettere, inizio a scorrere gli annunci di vendita, e, incredibile! Ne trovo subito una a Palermo, che sembra anche in ottime condizioni!
    “Chi conosco a Palermo che mi possa aiutare?” Qui la risposta è facile: gli amici del Moto Club Regolarità 70 sono certo che faranno di tutto per assistermi. Ed ho ragione: il giorno di Santo Stefano chiamo infatti “Rubistain” (gli è andata male: era il primo di cui ho trovato il numero...) e gli spiego che ho visto l’annuncio della tal moto, se poteva andarmela a vedere e così via.
    Fabio (il vero nome di “Rubistain”), forse un po’ obnubilato da pranzi e libagioni natalizi, forse facendosi trascinare dalla consueta ed innata cortesia ed ospitalità siciliane, accetta subito: il giorno dopo va a vedere la moto, ma non immagina neanche che io sto già organizzando tutto il resto!
    Infatti, con la conferma che la moto è a posto ed in condizioni ottime, io ho rotto l’anima durante le feste anche a Franco Mazzoleni, commissario delegato FMI per la regolarità d’epoca, che siciliano non è di certo (è bergamasco purosangue), ma come cortesia, gentilezza e disponibilità ha ben pochi rivali al mondo. In pratica la mia DT 400 è un modello 1977, però è stato presentato alla stampa nell’autunno 1976, ed ha addirittura partecipato (arrivando terza) alla Abidjan-Nizza svoltasi tra fine ’76 ed inizio ’77. Pertanto è indubbio che esistesse già nel 1976. Frantumo i santissimi al buon Mazzoleni su ‘sta benedetta moto, mandandogli foto ed articoli rimediati dovunque, ed alla fine, forse più per sfinimento che altro, mi dice che la moto può rientrare nella classe C6.
    “C6? Ci sei? Eccome se ci sono!!”
    Tempo due minuti ho già organizzato tutto: bonifico bancario, passaggio di proprietà, biglietto sul traghetto per Civitavecchia. Manca solo un “volontario” che si presti ad andare in mia vece a fare il passaggio e poi si occupi di imbarcare la moto.
    “Fabio, non è che per favore...?”
    Che persone straordinarie i Siciliani! Questo in particolare poi!
    Invece di mandarmi a quel paese, Fabio asseconda in tutto la mia follia, forse anche lui travolto dagli eventi e da ‘sto pazzo che non gli lascia neanche il tempo di reagire...
    La mattina dopo me ne esco con un: “Ciao, vado a Civitavecchia col carrello a prendere una moto!”
    Lascerei perdere la descrizione dello sguardo dei miei familiari a questo mio annuncio, eh già, perché mi ero dimenticato di dire che da due giorni ero a letto con la febbre a 38°, ridotto uno straccio da una dannata influenza.
    I portuali secondo me devono essersi un po’ spaventati, nel vedermi rosso in faccia e con due occhietti iniettati di sangue che chiedevo dove fosse la mia moto, però, dietro presentazione dei documenti, me la consegnano subito senza storie.
    DiarioDT400
    Mentre ritorno, “Cavolo, e che, non la provo nemmeno?!” Sarà il delirio della febbre, saranno le sterrate che circondano la strada da Civitavecchia verso Viterbo, invitanti, in una radiosa giornata di fine dicembre, ma ad un certo punto fermo auto e carrello, slego la Yamaha e inzio a guardarmela ed “annusarmela”.
    Be’, c’è poco da dire, specialmente in paragone alle moto da fuoristrada europee di metà anni ’70 qui siamo proprio su un altro pianeta: tutto, nonostante l’età, è ancora perfettamente efficiente, vissuto, ma ancora efficiente.
    Qua e là sbuca qualche minuscolo puntino di ruggine, ma sembra quasi timoroso e pudico, rispetto a tutto il resto di una moto che veramente stupisce per qualità produttiva.
    DT400a
    DT400b
    Mi siedo. Comodissima, un po’ troppo per farci enduro, la sella andrà rialzata. La forcella è morbidina, be’, logico, e del resto anche il mono è morbidino. L’assetto è molto basso e lungo, ma col manubrio largo e tutto sembra davvero di starci seduti da sempre.
    Giro la chiave, si accendono le spie del folle e della riserva dell’olio (ha batteria e miscelatore), tiro l’aria, appena un po’ di gas e parte subito. Un sommesso borbottio molto ben definito, del resto è un 400.
    La scaldo un po’, poi tiro la frizione, dolcissima e morbida, altro che il mio Rotax! Metto la prima, nessun sobbalzo, nessun movimento: proprio un’altra categoria di moto. La frizione stacca perfettamente, il motore prende bene il gas, appare molto pieno. Un motorone da trial, praticamente. Facile, dolcissima, bella piena in basso, ma poi?
    Nulla: nessun allungo, nessuna potenza in alto, in pratica ricorda molto un Vespone 150.
    “O porco mondo... ‘Sta moto non va manco a cazzotti...”

    Ciao,
    Filippo
     
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    Semplicemente...........stupendo!!!!!!
     
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  10. corsaro regolarità
     
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    Complimenti per la passione che hai e per come riesci ad esprimerla con le parole , e' un piacere leggerti .






     
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    Junior Rugginoso

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    Grande Filippo,che parole,che racconto,la passione che ci metti in questa storia,e' fantastica.
     
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    Phil Hip Poh Tcheckootchee

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    Capitolo 4:

    E va bene, siamo sotto le feste, ho la febbre a 38 e sul carrello sto riportando una moto bella, ma con un motore loffissimo, cosa si può fare?
    In Italia, naturalmente, di questa moto nessuno sa niente, inizio allora a cercare in tutto il mondo grazie al web, ma non è che si trovi granché di utile per quanto ho in mente, anzi, meglio: non trovo proprio niente di utile.
    Scovo invece gli esplosi dai manuali ricambi, non è poco, ed inizio a confrontare tutti i pezzi tra loro, un lavoro che mi permette di conoscere la moto piuttosto profondamente. Scopro così tantissime caratteristiche che immagino nessun altro conosca, o per lo meno ricordi. In Italia soprattutto.
    Tanto per dire, il blocco motore è praticamente lo stesso, dal 360 1975 da cross fino al 425 che arriva al 1981. Le differenze sembrano essere negli accessori, come il miscelatore che ha solo la DT, il carburatore (da 34 sulla DT, da 38 su YZ ed IT), la cassa filtro molto diversa e, naturalmente, espansione e scarico.
    Yamaha400Aspirazione
    Yamaha400Scarico
    Il telaio è parecchio diverso, stante che il DT 1977 ha un telaio completamente differente dal DT 360 del 1975 (biammortizzato), mi sembra di comprendere la filosofia della produzione: le YZ sono le moto che “aprono la strada”, hanno cioè per prime le varie innovazioni. La DT 400 nasce nel 1976, differente dalla IT da enduro vera e propria (a trovarle, in Europa...), è però ancora molto simile alla precedente DT 360, con doppio ammortizzatore ed impostazione molto “antica”.
    YamahaDT40076
    YamahaIT40076
    Le moto “da gara” (YZ ed IT) variano parecchio proprio in quegli anni: nel 1975 la YZ è la prima con il monocross, e nel 1976 il telaio è lo stesso sulla IT, quel che scopro è però che dura solo un anno.
    Qui sotto due immagini pubblicitarie Yamaha, in quella con il figaccione che si sciacqua il muso nel lago c’è la IT 400 1976, nell’altra c’è il modello 1977:
    YamahaIT40076bro
    YamahaIT40077
    Evidentemente il telaio non era troppo resistente alle sollecitazioni “da gara”, ed infatti cambia completamente nel 1977, con il celebre “tunnell” che contiene il lunghissimo monoammortizzatore. Il modello DT cambia anch’esso, ed in pratica è una via di mezzo tra la parte bassa del telaio YZ/IT 1976 e la parte alta del 1977, comunque tutto diverso.
    Yamaha400Telaio
    TelaioDT400
    TelaioYZ40077a
    Il motore, dalle schede tecniche, sembra variare per compressione, oltre che per pacco lamellare, carburatore, cassa filtro e scarico.
    Va detto che le case giapponesi negli anni ’70 avevano l’abitudine di creare un’infinità di modelli per la stessa moto, specifici per gli Stati Uniti, per il Canada, la Germania, la Francia, la Gran Bretagna: c’è da diventarci matti!
    Spesso un modello era proposto nei vari mercati in versioni di diverse generazioni (ad esempio sono quasi sicuro che in Francia e Gran Bretagna la DT 400 abbia debuttato quando negli Stati Uniti vendevano ancora la DT 360!), addirittura negli USA per qualche stagione mettono in vendita un modello denominato “MX” (come le prime Yamaha da motocross, presto contraddistinte poi dalla sigla YZ) che era un “economico” da fuoristrada, ed altro non era che il modello cross dell’anno prima!
    Ma diamoci un taglio, perché rischiamo solo di creare confusione, basti sapere che è proprio con i modelli 1977 che finalmente la produzione Yamaha trova una certa stabilità e con modelli eccellenti: il telaio YZ/IT infatti sarà vincente tanto nel mondiale con Mikkola che negli USA con Hannah.
    Per quanto riguarda invece la DT, il mio modello 1977 è destinato a durare parecchie stagioni con piccole differenze come la forcella, che negli USA sarà sempre con perno in asse, mentre per l’Europa sarà sempre con perno avanzato.
    Sempre imperversando sul web e con la febbre alta, scopro vari siti negli Stati Uniti che vendono ogni genere di ricambi, anche usati, per le moto che mi interessano.
    Decido così che la mia Yamaha dev’essere una special costruita rigorosamente con dettami dell’epoca, non solo per essere a norma con i regolamenti, ma per un gusto tutto personale. Una DT modello 1977 (ma in vendita in Francia già a fine 1976), ma con parecchie parti provenienti dai modelli YZ/IT del 1976. Il motore, soprattutto!

    Ciao,
    Filippo
     
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    Continua Filippo, ê stupendo !!!!!!!!
     
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    Cadetto Rugginoso

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    bravissimo,continua

    ciao dottorone
     
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    Ecco, mi hai fregato sul tempo!!!!
    Mi sono andato a cercare la copia di Motociclismo di febbario 1978 , con la prova della DT 400.
    Prima cosa che balza all'occhio, la forcella.
    Nella tua ha il perno avanzato, quella della prova ha il perno in asse.
    Stavo per scriverlo, e cosa leggo?
    L'hai già detto tu.
    Vabbè...
    La prova ce l'hai?
    Ah, dimmi che anche la tua ha il decompressore automatico sul cilindro!
    Se arrivo a scansionarla, la posto qui (e te la mando, of course!).
     
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